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A seguito dei risultati pubblicati dall’Oiv durante il recente congresso di Porto, i docenti Thierry Lorey e Pascal Poutet della Business School ESP di Pau, in Aquitania, hanno condotto uno studio su basi sociologiche mediante una serie di interviste a tre distinti gruppi di età per capire la diminuzione del consumo di vino in Francia. Tutti d’accordo sul carattere conviviale del consumo di vino e sul fatto che il vino evoca la cultura francese e la cucina, ma la frequenza di consumo, da quotidiano per i 65enni, diventa casuale o solo durante una festa per i 30-40enni, mentre per i giovani da 18 a 30 anni è assolutamente eccezionale.

Mentre gli anziani mantengono una rappresentazione collettiva del vino, chi ha 30-40 anni invece ritiene che il consumo di vino sia limitato a determinate categorie socio politiche. La mancata trasmissione tra genitori e figli dei valori universali del vino, così come l’importanza delle sue connotazioni storiche e religiose, fa sì che per i 18-35 enni il consumo di vino sia più individualizzato e venga comunque considerato un lusso e portatore di rischi alla propria salute.

Lo studio dei due docenti getta poi un occhio sul futuro prossimo, stimando che il calo dei consumi di vino in Francia continuerà sotto la spinta delle giovani generazioni, ma solo per i vini da tavola perché per contro il consumo di vino di qualità si dovrebbe mantenere costante, grazie alla crescita di uno status sociale del vino iniziato dagli attuali 30-40 enni.


Per i viticoltori della California continua il periodo positivo sul versante prezzi che continuano a salire, anche per il mercato locale della costa Nord, mentre il surplus di vino, che aveva iniziato a crescere negli anni scorsi, sta finalmente iniziando a contrarsi.

Lo riferisce il rapporto trimestrale del gruppo bancario Rabobank dedicato al vino, aggiungendo che questo recupero si osserva maggiormente nel settore dei vini sfusi e questo fa ben sperare i produttori, perché la tendenza espressa dal mercato dei vini sfusi riflette la volontà dei produttori a pagare prezzi maggiori per le uve.

L’andamento dei mercati valutari non ha poi mancato di esercitare la sua influenza: la debolezza del dollaro ha infatti reso i vini importati più costosi e quindi meno competitivi rispetto al mosto prodotto localmente, anzi molti produttori californiani hanno ottenuto lo scorso anno ottimi ricavi vendendo il loro mosto all’estero.


Inaugurato ieri a Orvieto con una cerimonia ufficiale il 66° congresso nazionale dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani un appuntamento non solo per festeggiare i 120 anni di fondazione dell’associazione, ma anche per fare il punto sulla situazione della viticoltura italiana attraverso tre sessioni di lavori specialistiche. La prima sessione, dal titolo ‘L'innovazione del controllo’, illustrerà i metodi innovativi per riconoscere i vitigni in vigneto e nel vino, per presentare poi quelli più avanzati di monitoraggio a distanza della qualità dei vini.

La seconda si occuperà delle eccellenze enologiche italiane a confronto, cioè la valutazione delle tecnologie adottate per produrre alcuni prodotti di alta gamma. In questo ambito saranno presentate le bottiglie celebrative che Assoenologi, su mandato di Veronafiere con il patrocinio della Presidenza della Repubblica e del Consiglio dei Ministri, ha creato per festeggiare i 150 anni dell’Unità d'Italia. Lunedì, infine, nell'ultima parte dei lavori si affronteranno gli aspetti di comunicazione e di marketing dell’export, con tema ‘Come pensa, valuta, giudica e acquista il vino italiano il consumatore americano, russo e cinese’.


Lo spumante inglese vuole uscire dall’anonimato e competere ad armi pari sui mercati internazionali: non è certo un cammino facile, ma già cominciano le prime soddisfazioni come, ad esempio, nel 2010 il primo Trophy Award mai vinto da un vino inglese nell’International Wine Challenge, il Pinot Noir Rose Brut della Camel Valley in Cornovaglia.

Ma per competere ci vuole un nome ben definito e chiaro, come suggeriscono gli esperti di marketing, e francamente l’attuale English Sparkling Wine non va molto bene, ecco quindi iniziare tra i produttori inglesi la ricerca di quel nome che potrà gareggiare con lo Champagne, il Prosecco o il Cava. Due sono i nomi finora in lizza: Britagne è il primo nome, va pronunciato Brit-an-ee perché non deve fare rima con Champagne, ed è proposto dalla casa vinicola Coates & Seely nell’Hampshire mentre la Ridgeview Wine Estate nel Sussex propone il termine Merret, in onore di Cristopher Merret, il fisico inglese del XVII secolo che, trenta anni prima di Dom Perignon, studiò l’aggiunta di zuccheri per la spumantizzazione dei vini.

I due nomi però non riscuotono pareri unanimi dall’industria vinicola inglese e le polemiche sono ancora ben forti mentre vi è, come alla Nyetimber Vineyard del West Sussex, chi ritiene come sia ancora troppo presto per scegliere un nome. Nel frattempo, nonostante il dibattito resti acceso, il mercato degli spumanti inglesi è in piena crescita e le vendite sono aumentate del 70 per cento negli ultimi dodici mesi.


I due sindacati dei viticoltori della regione del Cognac, il Syndicat des vignerons (Sgv) e il Syndicat des viticulteurs et bouilleurs de cru (Svbc) nel corso di una riunione del 16 giugno scorso hanno deciso di fondersi insieme: un voto unanime che conclude più di dieci anni di disunione sindacale.

La nuova organizzazione sindacale ora rappresenta circa 2.500 viticoltori, circa la metà dei produttori di Cognac. Questa fusione era stata avviata nel 2008, e i due sindacati ai erano dati tre anni di tempo per arrivare alla fusione. I tempi sono stati rispettati, e lo statuto della nuova organizzazione sindacale sarà depositato entro novembre prossimo.


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